Per chi realizza vetrate, il corpo a corpo con la luce è la sfida che ogni volta si rinnova. Non si tratta semplicemente di luce fisica: da sempre, la luce nella sua qualità di elemento incorporeo e sostanza spirituale, è intesa come simbolo privilegiato di emanazione del divino. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, la vetrata non è mai uguale a se stessa: è una voce che continuamente si rinnova e pronuncia una sillaba diversa. Non conta tanto la figurazione che presenta, quanto l’armonia e il rapporto fra i colori e le forme. Nelle antiche cattedrali, infatti, non riusciamo a decifrare le storie narrate nelle vetrate altissime, ma ci raggiunge fortemente il loro ustionante messaggio. Questa attività silenziosa, in pieno giorno, come uno stellato, è il linguaggio di Dio con l’uomo. La vetrata, nata dal soffio e dall’incandescenza, riassume in sé la nostalgia e il mistero dell’origine. È la stessa apertura che Dio comanda a Noè di praticare alla sommità della sua barca, è il varco che nel Cantico dei cantici permette all’amato di assediare il cuore dell’amata. Dovremo indossare gli occhi buoni per accedere a questa luce preziosa, alla sua pace speciale, all’appuntamento con il mistero. La vetrata è un inno alla vocazione verticale, è un invito dall’alto: è la parola/luce dei molteplici colori dell’amore di Dio, che ci interpellano incessantemente e liberamente. Scavare il cielo, ecco il compito che la luce ci affida, attraverso un’arte che sia sofferta bellezza, e dunque sia mattutina e coraggiosa. La luce sa ciò che non sanno le parole.